Una vita di attività esterna in opposizione alla contemplazione. Nel terzo secolo Origene identificò la vita attiva con Marta e la vita contemplativa con sua sorella Maria. Prima dell’era cristiana i greci avevano differenziato la vita teorica dalla vita pratica. La vita pratica era quella che si occupava degli affari della famiglia o della città. San Paolo ha usato la parola greca “askein” per esprimere la questione pratica di operare la propria salvezza, di tendere alla perfezione o di fare uno sforzo spirituale per purificare la propria coscienza agli occhi di Dio. A poco a poco questa parola ha acquisito il significato di esercizio delle facoltà spirituali nell’acquisizione delle virtù dell’apprendimento, o esercizio, in senso fisico. San Paolo faceva spesso riferimento agli sforzi degli atleti nei giochi quando esortava i suoi cristiani alla pratica della perfezione.
Origene fu di nuovo il primo ad applicare la parola “asceta” ai cristiani che praticavano la verginità e si dedicavano alle opere di mortificazione. Con sant’Agostino, il termine vita attiva divenne quasi sinonimo di impegno ascetico, facendolo consistere nella pratica delle virtù, come separata dalla contemplazione della verità. San Gregorio Magno, assecondò questa dottrina identificando la vita attiva con la pratica delle opere di misericordia corporale, e in una certa misura le opere spirituali e questa tradizione persistettero attraverso San Tommaso e Suárez.
La vita attiva raggiunge un nuovo piano quando si occupa della cura delle anime. Dal tempo di Agostino gli autori sottolineano che i vescovi, ai quali appartiene propriamente la cura delle anime, conducono la vita attiva nel suo senso più pieno, così come la vita contemplativa, poiché tutta la loro attività deve essere riccamente impregnata di contemplazione. Ne consegue che coloro che non sono vescovi conducono più pienamente la vita attiva, più partecipano alla cura delle anime, opera propria dei vescovi. Questo è il motivo per cui San Tommaso può classificare quegli ordini religiosi la cui preoccupazione è di dare agli altri il frutto della loro contemplazione in primo luogo. Storicamente, gli ordini religiosi, all’inizio, si preoccupavano solo della perfezione dei propri membri. A poco a poco, i bisogni delle anime le costrinsero all’apostolato proprio dei vescovi. Gli ordini religiosi, come i francescani ei domenicani nel XIII secolo, furono fondati con l’obiettivo di svolgere il lavoro che i vescovi non potevano più gestire da soli. La rivoluzionaria Compagnia di Gesù (13), che stabilì il modello per molti degli istituti religiosi più moderni, si spostò in qualsiasi area fosse necessaria per il bene delle anime, sia che si trattasse delle opere di misericordia corporale e spirituale, o della predicazione e dell’amministrazione. dei Sacramenti. Nei tempi moderni, il passo logico successivo è stato compiuto dalla partecipazione dei laici all’apostolato della gerarchia, o quella che è conosciuta come Azione Cattolica, un modo di vivere la vita attiva dello spirito rimanendo nel mondo.
Il segreto della pratica di successo della vita attiva è la carità in azione. Come insegna san Tommaso, la carità è la radice del merito. La carità affettiva, consistente in atti interni dell’amore di Dio, è comune sia alla vita attiva che a quella contemplativa, e deve essere resa efficace nell’adorazione esteriore di Dio nella vita contemplativa. Sant’Agostino dice che è “solo l’impulso della carità che accompagna l’attività necessaria” (Civ. 19.19). La carità affettiva è la vera misura della perfezione, ma è essa stessa meglio misurata da questa efficace carità di buone opere. Carità efficace significa eseguire i comandi di Dio. L’intero scopo della vita attiva è raggiungere l’unione con Dio mediante il servizio al prossimo, che Dio ci ha comandato di amare. Chi conduce la vita attiva non lascia tanto Dio per Dio, come dice la frase popolare, ma trova Dio sempre e ovunque nell’attività svolta per amore di Dio.
Ovviamente il termine “vita attiva” è un termine analogo. In un senso non spirituale, sarebbe l’opposto della quiete. In senso spirituale è ambiguo, perché può significare l’opposto della vita contemplativa o la vita che scaturisce dalla contemplazione. Quando è usato nel contesto dello spirituale come termine univoco, si riferisce solitamente alla vita della virtù, alla ricerca della virtù, alla vita delle opere di misericordia corporali e spirituali ea tutte quelle cose che sono indirettamente connesse con la carità.
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[jf conwell]