Un orientamento teologico, piuttosto che un corpo dottrinale sistematizzato, che trae ispirazione dagli sforzi di Rudolf bultmann (1884-1976) per “demitizzare” le Sacre Scritture.
L’epiteto, esistenziale, si basa sulla prospettiva postulata da Bultmann per qualsiasi studio valido della parola di dio nella Bibbia, in particolare il kerygma del Nuovo Testamento. Secondo Bultmann, le proposizioni in esse contenute possono essere considerate teologicamente significative solo nella misura in cui parlano dell’esistenza dell’uomo. Il kerygma consiste quindi in una serie organica di giudizi riguardanti le “possibilità” che si trovano davanti all’uomo. Questi giudizi hanno l’effetto di richiamare l’attenzione dell’uomo sulla sua situazione propriamente esistenziale. Gli dicono che sta davanti al Dio che non può essere “considerato”, cioè il cui essere non può essere oggettivato e quindi analizzato, ma che è conosciuto solo nella decisione in cui si incontra come un altro Tu.
Questa prospettiva regolativa implica visioni peculiari riguardanti sia il testo delle Scritture che la struttura della natura umana. Secondo Bultmann e i suoi discepoli, il primo è un tessuto di “miti” che deve essere messo alla prova dell’analisi esistenziale. Qui è sufficiente comprendere il carattere mitico delle Scritture come espressione di una visione dell’universo radicalmente diversa dalla nostra moderna comprensione scientifica di esso. Per Bultmann questa visione opposta includeva idee sulle cosmogonie in disaccordo tra loro, così come nozioni differenti sull’eruzione nella natura di forze estranee ai suoi processi ordinari.
La descrizione di Bultmann della natura umana come Dasein è una franca adozione della terminologia e della struttura del pensiero di M. Heidegger a questo riguardo (vedi esistenzialismo, 2). Essere uomo significa quindi essere in modo tale che, attraverso e nel proprio essere, l’essere come tale sia “messo alla prova”. Esistere come uomo, quindi, significa avere davanti a sé la possibilità di decisione; e quando questa possibilità è realizzata, l’uomo esiste autenticamente. Per Bultmann, ancora una volta, la “storicità” di Dasein è questo stesso essere dell’uomo in quanto – distinto da ogni altro essere (Essere disponibile ) —Può (ma non è necessario!) Essere.
Se, quindi, i Vangeli possono essere “demitizzati” per l’uomo moderno, saranno per lui – come lo sono per gli uomini di ogni età – la porta della fede, cioè una comprensione esistenziale di se stessi (Immagine di sé ). Così il teologo esistenziale o l’esegeta vede come suo compito: (1) essere in relazione vitale con la realtà; (2) esaminare il testo sacro in cui questa relazione si esprime, direttamente o indirettamente, (3) riesprimere questa relazione in modo da rendere evidente il carattere problematico o “storico” dell’esistenza umana. Che gli eventi rappresentati nella Bibbia abbiano o meno una validità storica oggettiva non ha molta importanza, perché la loro rappresentazione ha una funzione completamente diversa dal mettersi in contatto con qualcosa che è accaduto in un dato momento della storia del mondo. Si noti che questa non è una palese negazione da parte del teologo esistenziale dell’oggettività storica degli eventi evangelici. Il suo interesse è altrove, ed è dominato dall’idea che nella vita di Gesù la condizione esistenziale dell’uomo sia messa a nudo. La fede in Cristo consiste nella consapevolezza costantemente rinnovata che è possibile accettare la grazia di Dio.
Per riassumere, quindi, Bultmann ha tentato di esprimere la sua comprensione del significato del Vangelo in termini presi in prestito dalla filosofia esistenziale (heideggeriana). Questa comprensione si basa sull’idea che, per parlare validamente di Dio, bisogna anche e necessariamente parlare dell’uomo. L’unico contenuto del Vangelo, quindi, è il confronto costante dell’uomo da parte di Dio nella condizione di storicità del primo, cioè possibilità di esistenza autentica nella fede.
L’uso dell’analisi esistenziale per preparare la via a una valida esegesi biblica solleva anche la questione del rapporto tra fede e filosofia. Lo stesso Bultmann sosteneva che il confronto reale con la realtà dipende dalla parola biblica, un’altra tesi distintamente protestante. La questione è quindi se questa sia o meno un’espressione del tutto sana della completa donazione della fede.
Bibliografia: hw bartsch, ed., Kerygma e mito, tr. rh fuller (Londra 1953). r. marlÉ, Bultmann e l’interpretazione del Nuovo Testamento (Parigi 1956). in walty, “Bulletin of Protestant Theology”, Rivista di scienze filosofiche e teologiche 42 (1958) 349-370. h. schlier, Lessico per la teologia e la chiesa, ed. j. hofer e k. Rahner, 10 v. (2d nuovo ed. Freiburg 1957–65) 2: 768–769. e. fuchs, Religione nel passato e nel presente 1: 1511-1512.
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