Lettera enciclica, “Sulle vie in cui la Chiesa deve svolgere la sua missione nel mondo contemporaneo”, promulgata da Papa Paolo VI nella festa della Trasfigurazione, il 6 agosto 1964. La sua chiesa è stata la prima lettera enciclica del papa. In esso, immagina il ruolo della Chiesa nei confronti del mondo secolare.
Il prologo, “Le strade della Chiesa”, delinea l’enciclica in termini di “tre pensieri, che turbano continuamente il cuore [del papa]” (n. 8). Primo, “la Chiesa dovrebbe approfondire la sua coscienza di sé” (n. 9). In secondo luogo, sulla base di questa autocoscienza, “sorge il bisogno disinteressato e quasi impaziente di rinnovarsi” (n. 11). In terzo luogo, il papa si preoccupa “dei rapporti che la Chiesa di oggi dovrebbe stabilire con il mondo che la circonda e in cui vive e lavora” (n. 12). In questo senso, l’enciclica è divisa in tre parti.
La prima parte, “Consapevolezza”, indica che “è oggi un dovere per la Chiesa approfondire la consapevolezza che essa deve avere di se stessa, del tesoro di verità di cui è erede e custode, e della sua missione nel mondo” (18). La chiave di questa autoconsapevolezza è la “vigilanza”. “La vigilanza”, dice il papa, “deve essere sempre presente e operante nella coscienza del servo fedele; determina il suo comportamento quotidiano, caratteristico del cristiano nel mondo” (n. 21). Egli giustifica l ‘”audacia” (n. 23) di questo invito perché “la Chiesa ha bisogno di riflettere su se stessa” e “di sperimentare Cristo in se stessa” (n. 25). Così, “il primo vantaggio che la Chiesa trae da una più profonda consapevolezza di sé è una rinnovata scoperta del suo vincolo vitale di unione con Cristo” (n. 35). In definitiva, questo sacro vincolo è il “mistero della Chiesa” (n. 36). Questo mistero “non è un mero oggetto di conoscenza teologica; è qualcosa da vivere, qualcosa di cui l’anima fedele può fare una sorta di esperienza connaturale, prima ancora di arrivare a una chiara nozione di essa” (n. 37). In considerazione del mistero profondo e sacro della Chiesa, il Papa insegna che, “se riusciamo a risvegliare in noi stessi un sentimento così forte per la Chiesa e instillarlo nei fedeli mediante un’istruzione profonda e attenta, molte delle difficoltà che oggi turbano gli studenti di ecclesiologia, come ad esempio come la Chiesa possa essere allo stesso tempo visibile e spirituale, allo stesso tempo libera e soggetta a disciplina, comunitaria e gerarchica, già santa e tuttavia ancora santificata, contemplativa e attiva … sarà superata in praticati e risolti da coloro che, illuminati da un sano insegnamento, sperimentano la realtà viva della Chiesa stessa “(n. 38).
Nella seconda sezione, “Rinnovamento”, Papa Paolo indica che la fonte del suo impulso al rinnovamento è “il desiderio di vedere la Chiesa di Dio diventare ciò che Cristo vuole che sia: una, santa e interamente dedita alla ricerca della perfezione a cui è effettivamente chiamata. ” Nonostante questa alta vocazione e, “perfetta com’è nella concezione ideale del suo divino Fondatore”, afferma che la Chiesa dovrebbe “tendere a diventare perfetta nella vera espressione della sua esistenza terrena “(n. 41). Egli avverte che la chiamata della Chiesa alla perfezione non va intesa” nel senso di il cambiamento, ma di a determinazione più forte preservare i tratti caratteristici che Cristo ha impresso nella Chiesa “(n. 47). Alla luce di questi criteri di rinnovamento, indica che” la Chiesa ritroverà la sua rinnovata giovinezza, non tanto cambiando le sue leggi esteriori, ma assimilando interiormente il suo vero spirito di obbedienza a Cristo e, di conseguenza, osservando quelle leggi che la Chiesa si prescrive con l’intenzione di seguire Cristo “(n. 51). Successivamente, il papa individua due punti che forniscono materia di riflessione per la rinnovamento della vita ecclesiastica, cioè lo “spirito di povertà” (nn. 54-55) e lo “spirito di carità” (nn. 56-57).
La sezione finale, “Dialogo”, presenta l’affermazione che “se la Chiesa acquisisce una consapevolezza sempre crescente di se stessa … cerca di modellarsi sull’ideale di Cristo, il risultato è che la Chiesa diventa radicalmente diversa dall’ambiente umano in cui esso … vive o che si avvicina “(n. 58). Tuttavia, “questa distinzione non è una separazione” (n. 63). Nella misura in cui “la Chiesa ha una vera realizzazione di ciò che il Signore desidera che sia, … sorge un senso unico di pienezza e un bisogno di sfogo”. Una conseguenza di questo sfogo è il “dovere … di diffonderlo, offrirlo e annunciarlo agli altri”. “A questa spinta interna della carità che tende a diventare dono esterno della carità”, dice il papa, “daremo il nome di dialogo” (n. 64), in cui “la Chiesa deve entrare … con il mondo in cui esiste e lavora “(n. 65). “Il dialogo”, afferma, “dovrebbe caratterizzare il nostro approccio e il nostro metodo apostolico così come ci è stato tramandato” (n. 67). Afferma infatti che il dialogo “si trova nel disegno stesso di Dio” (n. 70). Individuandone il significato ecclesiale, spiega il Papa, “il dialogo è… un metodo per realizzare la missione apostolica” (n. 81). In quanto tale, il dialogo è fecondo sia per la Chiesa che per i partner che essa impegna: “La dialettica di questo esercizio di pensiero e di pazienza ci farà scoprire elementi di verità anche nelle opinioni degli altri, ci costringerà ad esprimere il nostro insegnamento con grande correttezza, e ci ricompenserà per il lavoro di averlo spiegato secondo le obiezioni di un altro o nonostante la sua lenta assimilazione del nostro insegnamento. Il dialogo ci renderà saggi, ci renderà maestri “(n. 83).
Nelle sue osservazioni conclusive, il Papa osserva che “è motivo di gioia e di conforto … vedere che un tale dialogo esiste già nella Chiesa e nei luoghi che la circondano. La Chiesa è più che mai viva” (n. . 117).
[K. godfrey]