Il tentativo di mettere alla prova o mettere alla prova uno o più attributi di Dio, come la Sua conoscenza, volontà, potenza o saggezza. Questa prova di Dio può essere fatta con parole, azioni o omissioni. Si può, ad esempio, chiedere a Dio di compiere un miracolo quando, a giudicare dalle normali norme di prudenza, non è richiesto. Fu per indurre Cristo a tentare Dio in questo modo che il diavolo Gli suggerì di gettarsi giù dal pinnacolo del Tempio nell’attesa che Dio Lo preservasse dal male (Mt 4.6). Allo stesso modo, è tentare Dio che qualcuno si aspetti una protezione miracolosa trascurando i modi immediati e ovvi di proteggere se stessi che la divina provvidenza ha già fornito. L’aspettativa o la speranza, tuttavia, deve essere eccessiva per equivalere a una tentazione di Dio, perché chiederGli qualcosa nel corso ordinario della provvidenza divina o chiedergli umilmente di concedergli anche un favore straordinario non è tentare Dio ma onorare Lui dimostrando fiducia nella sua onnipotenza e misericordia. Lo stesso si può dire dell’atto di chi, mosso da genuina ispirazione divina, chiede a Dio di fare qualcosa fuori dall’ordinario ma necessario per uno scopo buono, come quando, ad esempio, alcuni santi chiedevano a Dio di compiere miracoli per aiutarli. nel loro lavoro apostolico. Inoltre, per essere una tentazione di Dio, un attributo divino deve essere messo alla prova, cioè bisogna chiedere o aspettarsi che Dio faccia qualcosa. Non è tentare Dio di agire in modo imprudente o avventato senza aspettarsi l’intervento di Dio.
I teologi distinguono due tipi o gradi di tentazione di Dio. È formale quando si dice o si fa qualcosa con l’intenzione espressa o esplicita di mettere Dio sotto processo. In questo caso non fa differenza se la prova procede dall’incredulità, come quando si dubita positivamente dell’esistenza di un attributo divino, o se nasce dalla presunzione, come quando chi crede fermamente nel potere di Dio si espone al pericolo di morte per vedere se Dio vuole salvarlo. D’altra parte, la tentazione è virtuale (implicita, interpretativa) quando non si ha l’esplicita intenzione di mettere alla prova Dio ma si agisce in modo tale che da Lui sembri aspettarsi un miracolo o un altro effetto straordinario.
La tentazione di Dio è condannata nelle Scritture (vedi Dt 6.16; Sal 77.18, 19.56; Mt 4.7). La tentazione formale o esplicita di Dio è un peccato mortale, perché è un insulto a Dio mettere in discussione i suoi attributi e sfidarlo a manifestarli. È un peccato principalmente contro la virtù della religione, che esige che a Dio sia data la dovuta riverenza e adorazione. Può anche comportare un peccato contro la fede, ad esempio, quando Dio viene messo alla prova perché viene messa in dubbio qualche dottrina di fede. La tentazione virtuale o implicita di Dio può essere un peccato veniale se Dio è tentato sconsideratamente solo per una questione insignificante o se non c’è abbastanza pubblicità alla serietà intrinseca dell’azione.
Bibliografia: Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae 2a2ae, 97. r. nebbia, Dizionario di teologia cattolica, ed. un. vacante, 15 v. (Parigi 1903–50; Tabelle generali 1951–) 15.1: 116–127. p. palazzini, Dizionario di teologia morale, 1211–12. dm prÜmmer, Svmma casvvm (Friburgo-Barcellona 1955) 2: 526-528. H. Davis, Teologia morale e pastorale (New York 1958) 2: 31–32. lg fanfani, Teologia morale teorica manuale 3 v. (Roma 1950–51) 3: 110–112.
[p. curran]