Moses ben solomon ben simeon di burgos

Moses ben solomon ben simeon di burgos (1230/1235 – c. 1300), cabalista in Spagna; era rabbino a Burgos dal 1260 circa. Mosè, noto anche come Moses Cinfa, evidentemente dal nome di sua madre, proveniva da una famiglia illustre. L’allievo ed erede spirituale dei cabalisti * Isaac e * Jacob b. Jacob ha-Kohen (che erano fratelli) e un importante cabalista in Castiglia, iniziò a impartire una conoscenza della Kabbalah non appena assunse l’incarico a Burgos; i suoi allievi includevano Isaac b. Solomon ibn * Sahula e Todros * Abulafia. Isaac * Albalag lo considerava il cabalista più importante della sua generazione. Abraham * Abulafia incontrò lui e il suo allievo Shem Tov (b. Maor; “Maggiore”) tra il 1271 e il 1274 e cercò di attirarlo alla sua dottrina del cabalismo profetico. Verso la fine della sua vita Mosè incontrò * Isaac b. Samuele d’Acri, che racconta l’evento nel suo Me’irat einayim. Isacco sentì Mosè pronunciare il duro epigramma che esprimeva il rapporto tra filosofia e Kabbalah: “La posizione raggiunta dalle loro teste raggiunge solo la posizione dei nostri piedi” – un motto di un’affermazione di tipo gnostico che indica che il cabalista ha accesso ai regni in cui il filosofo non è in grado di camminare. Mosè era un rigoroso tradizionalista e il valore dei suoi scritti cabalistici non risiede tanto nel loro pensiero originale, quanto nel servizio che rendono come tesoro e deposito di molte tradizioni raramente menzionate dai suoi contemporanei, ma quelle che generalmente non erano * Zohar.

Le opere di Mosè sono le seguenti:

(1) un commento al Cantico dei Cantici parola per parola, non più esistente ma disponibile per Isaac ibn Sahula;

(2) un commento ai dieci “rimasti” Sefirot (Eser ha-Sefirot ha-Semaliyyot; cioè, l’impuro Sefirot), chiamato anche Ammud ha-Semali (“The Left Pillar”; pubblicato da G. Scholem);

(3) commenti sui tre haftarot – Il marchio Yeshayahu (“Trono e visione del carro di Isaia”), Merkevet Yeḥezkel (“Trono e visione del carro di Ezechiele”), e Mareh ha-Menorah shel Zekharyah (“La visione di Zaccaria del candelabro”; frammenti in Scholem);

(4) un commento al Nome Divino di 42 lettere, la maggior parte delle quali è stata pubblicata in forma anonima nella raccolta Likkutim me-Rav Hai Gaon (1798), l’introduzione e importanti considerazioni conclusive sono pubblicate da Scholem;

(5) un’amplificazione del trattato del suo maestro Isaac ha-Kohen su “Emanazione” (frammenti pubblicati da Scholem);

(6) Sod Shelosh Esreh Middot u-Ferushan (“Il mistero dei 13 attributi divini e la loro interpretazione”), che è, in effetti, una spiegazione cabalistica del primo tratto *Shi’ur Komah (“Misura del corpo”; edito da Scholem);

(7) diverse composizioni mistiche su vari argomenti. Mosè aveva accesso a una varietà di fonti, comprese le opere affiliate al cerchio incentrato su Sefer ha-Iyun, così come una serie di pseudepigraphica. Tutte le tradizioni su cui faceva affidamento nel suo Ammud ha-Semali sono in questa categoria. La cristallizzazione di una tendenza decisamente gnostica nel cabalismo può essere chiaramente rintracciata nei suoi scritti. Inoltre approfondisce le tradizioni cabalistiche relative all’efficacia di pronunciare i nomi divini come incantesimi, ma sottolinea che non ha mai tentato di tradurre la teoria in pratica.

bibliografia:

Scholem, in: Anguria, 3 (1931/32), 258–86; 4 (1932/33), 54–77, 207–25; 5 (1933/34), 50-60, 180-98,305-23.

[Gershom Scholem]