Atto puro

L’atto puro è un’espressione usata nella filosofia e teologia scolastica per descrivere la perfezione assoluta o pura di Dio, in contrasto con la perfezione limitata o mista delle creature. agire qui è un termine tecnico che significa in realtà possedeva perfezione, mentre puro significa non mescolato con potenza, cioè con qualsiasi capacità intrinseca di cambiamento o limitazione. L’espressione è da intendersi, quindi, in funzione della teoria generale della potenza e dell’atto iniziata da Aristotele e ulteriormente sviluppata da San Tommaso d’Aquino e pensatori scolastici dal XIII secolo in poi (vedi potenza e atto).

Questa teoria è stata originariamente sviluppata da Aristotele per spiegare il cambiamento o il movimento. La potenza era concepita come una capacità di cambiamento e non ancora come un principio di limitazione. Quindi, per Aristotele, qualsiasi essere che non ha una potenza intrinseca per il cambiamento, ma possiede sempre effettivamente la piena misura di perfezione che gli è propria è un atto puro. Poiché la materia è per sua natura un principio di cambiamento, un atto puro deve essere un’intelligenza puramente spirituale il cui atto o perfezione consiste nell’auto-contemplazione eterna, immutabile e beata.

Sebbene la prova di Aristotele per l’esistenza di un motore immobile nel Physica (258b 10-267b 27) menziona esplicitamente solo uno di questi essere, sembra che alla fine abbia ammesso, per ragioni basate sull’astronomia corrente, circa 55 di questi, ciascuno un motore primo per una delle sfere celesti (Meta. 1073a 13–1074b 14). La perfezione per lui, come per la filosofia greca precristiana in generale, sembrava non implicare l’infinito, ma piuttosto connotare l’informe, l’indeterminato e l’imperfetto. Così l’atto puro escludeva il cambiamento ma non la limitazione, e potevano esserci diversi atti puri diversi, ciascuno completo nel proprio atto di auto-contemplazione.

Quando i pensatori cristiani del XIII secolo presero il controllo della filosofia aristotelica come strumento di teologia, modificarono la nozione aristotelica di atto puro e la applicarono al Dio cristiano, unico Creatore di tutti. Divenne allora la pienezza infinita di ogni possibile perfezione, dalla quale tutti gli altri esseri ricevettero la perfezione in diversi gradi limitati, ciascuno in proporzione alla potenza o capacità limitante della propria natura. La potenza divenne così un principio di limitazione oltre che di cambiamento, e tutti gli esseri al di fuori di Dio furono visti come, in qualche modo, miscele di azione e potenza. Per san Tommaso, poiché la perfezione ultima di tutte le cose è l’esistenza stessa, Dio è un puro atto di esistenza sussistente, L’essere stesso di un sussistente è, comprese tutte le altre perfezioni. All’estremità opposta della scala della perfezione si trova la pura potenza o materia primaria; considerata in sé (sebbene secondo san Tommaso non potrebbe mai esistere da sola), questa è pura capacità di perfezione, senza atto o perfezione propria (vedi materia e forma).

I pochi filosofi moderni al di fuori della tradizione aristotelico-scolastica che hanno adottato l’espressione la usano per trasmettere una concezione di Dio come Spirito Assoluto, pensando se stesso e il mondo in un unico puro atto di pensiero; questo gruppo include GWF hegel, G. gentile, M. blondel e L. lavelle.

Vedi anche: aseità; dio in filosofia, 3; infinità di dio.

Bibliografia: Tommaso d’Aquino, C. gent. 1.16–18, 28, 43; Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, 1a, 3–4, 7. wn clarke, “Limitation of Act by Potency: Aristotelianism or Neoplatonism”, La nuova scolastica 26 (1952) 167-194.

[wn clarke]