In tema di tempo, i filosofi ebrei medievali erano divisi in due grandi campi: quelli che aderivano fondamentalmente al concetto aristotelico di tempo e quelli che preferivano un concetto che risale in ultima analisi a Plotino. Tra i primi sono inclusi Isaac Israeli, Saadiah Gaon, Abraham ibn Daud, Maimonides e Levi b. Gershom, e tra questi ultimi ci sono Ḥasdai Crescas e Joseph Albo. Maimonide può essere preso come rappresentante del primo gruppo e Crescas del secondo.
Maimonide, la cui discussione sul tempo appare nella sua Guida dei perplessi (in particolare, 1:73), accetta la definizione di tempo stabilita da Aristotele come “il numero di moto secondo ‘prima’ e ‘dopo’” (Fisica 4:11, 219b). Il tempo, quindi, non è né una sostanza indipendente né identica al movimento, sebbene sia totalmente dipendente da quest’ultimo e costituisca un accidente del movimento, che è esso stesso un accidente del corpo o di sostanze corporee. Il tempo, di conseguenza, possiede solo una quasi-realtà. Non solo è un incidente di un incidente, ma è composto da un passato che è andato, un futuro che non esiste ancora e un presente che funge solo da limite tra i due. Di conseguenza, Maimonide rifiuta il concetto di tempo proposto dal Mutakallimun (vedi * Kalām) che, basando il suo pensiero generalmente sull’atomismo di Democrito, sostenne che il tempo è composto da atomi o istanti di tempo, che sono entità reali.
Nonostante l’accordo di base di Maimonide con Aristotele sulla definizione del tempo, rifiuta il tentativo di quest’ultimo di provare l’eternità dell’universo dalla natura del tempo, e sostiene invece che il tempo è venuto all’esistenza con la creazione dell’universo. Prima della creazione, Dio esisteva da solo nell’eternità senza tempo, perché poiché Dio è assolutamente incorporeo, non ha alcuna relazione con il movimento, e di conseguenza nessuno con il tempo.
La discussione sul tempo di Crescas appare nella sua O Adonai come parte della sua massiccia critica alla filosofia aristotelica. La distinzione essenziale tra Crescas e Aristotele è che Crescas separa l’esistenza del tempo dalla sua dipendenza essenziale dal movimento. Il tempo, piuttosto che essere un incidente di movimento, è la continuazione o la durata del flusso di coscienza di una mente pensante. Così Crescas definisce il tempo come “la misura della continuità [durata] del movimento o del riposo tra due istanti”. Il tempo, quindi, come durata, esiste indipendentemente dal movimento. La relazione del moto con il tempo è che il primo serve a determinare o misurare una certa lunghezza o parte del tempo. Inoltre, come durata dell’attività della mente, il tempo non ha una realtà extra-mentale, nemmeno la quasi-realtà di Aristotele.
La definizione di Crescas ha due importanti implicazioni teologiche. Primo, non è il caso, come crede ad esempio Maimonide, che Dio non possa essere descritto come esistente nel tempo. Poiché la durata è una qualità della mente piuttosto che del movimento e del corpo, il tempo può essere attribuito anche a un’entità assolutamente incorporea come Dio. In secondo luogo, con un ragionamento simile, si può concludere che il tempo non è nato con la creazione dell’universo, ma è esistito dall’eternità come durata della coscienza infinita di Dio.
Sebbene Albo concordi con Crescas sul fatto che la durata è indipendente dal movimento, sostiene che il tempo reale è solo una durata determinata o misurata. Quindi non c’era tempo reale fino alla creazione delle sfere celesti la cui corporeità forniva il movimento necessario per determinare una lunghezza di durata.
Inserisci. bibliografia:
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