Israele, regno di

Israele, regno di, il nord dei due regni in cui fu diviso il regno di Salomone dopo la rivolta guidata da Geroboamo contro Roboamo (ca.928 a.C.). È anche chiamato il Regno del Nord, il Regno di Samaria e, in documenti extra-biblici, la Casa di Omri, dal nome del fondatore di una delle sue dinastie più importanti. Il Regno di Israele era costituito da tutte le tribù, eccetto Giuda e Beniamino. La sua capitale fu inizialmente Sichem e poi Samaria (876 aC circa). Aveva due santuari principali, uno a Sichem, l’altro a Dan. Sebbene molto più importante di Giuda, Israele non godeva della stessa stabilità. Durante i 206 anni della sua esistenza, ebbe dieci dinastie, le più importanti delle quali furono quelle di Geroboamo, Omri e Ieu. Israele era quasi costantemente in uno stato di guerra con Damasco. Nel 722 gli Assiri presero la Samaria, deportarono i suoi abitanti e misero fine al Regno di Israele. Il Regno del Nord è costantemente criticato nel Libro dei Re a causa dei peccati di Geroboamo e dell’idolatria di Acab. I profeti Elia, Eliseo, Osea e Amos esercitarono i loro ministeri nel Regno di Israele. Dopo la caduta della Samaria, parte della sua letteratura fu portata a sud e trovò la sua strada nella Bibbia ebraica.

Nell’aggadah

I rabbini, nonostante la loro fede nell’eterna integrità della monarchia davidica e le loro preghiere per la sua restaurazione, non erano marcatamente ostili all’antico regno di Israele che fu formato dalla secessione di dieci tribù dal dominio davidico dopo la morte di Salomone. Qualsiasi ebreo, indipendentemente dalla sua tribù di origine, era considerato idoneo per il regno (Midrash Tanna’im, p. 104; Hor. 13a). I re israeliti sono valutati dal Aggadah come individui, il loro ruolo politico nel mantenimento di una doppia monarchia viene praticamente ignorato; l’unico punto negativo fatto con una certa coerenza è che la monarchia israelita era un fenomeno temporaneo e, per esempio, non ungeva i suoi re come fecero i Davidide (Or. 11b). In tutto questo, i rabbini riflettono fedelmente l’atteggiamento di i Re 11: 29–39, che racconta della promessa profetica di Ahijah a Geroboamo che quest’ultimo avrebbe governato su Israele come Davide aveva governato su Giuda, “ma non per tutti i giorni”. Un’eccezione significativa a questa postura rabbinica può essere l’opinione di R. Akiva che le dieci tribù non hanno alcuna parte nel mondo a venire (Tosef., Sanh. 13:12; cfr. Sanh. 10: 3), che può derivare da un atteggiamento duro verso i secessionisti; altre interpretazioni di questo insegnamento sono, tuttavia, del tutto possibili.

Nella loro discussione sulla fondazione della monarchia israelita e sul concomitante avvizzimento dell’egemonia davidica, i rabbini si concentrano sui vizi e sui meriti di Davide, Salomone e Geroboamo, piuttosto che sulle questioni più ampie sviluppate nella Bibbia. Rav dichiara che il comportamento improprio di David nei confronti di Mefiboset e la sua disponibilità a credere lashon ha-ra erano la colpa per la secessione (Shab. 56a). Seder Olam Rabbah (cap. 15) afferma che una secessione di 36 anni fu ordinata per punire Salomone per il suo matrimonio di 36 anni con la figlia del Faraone, ma che la doppia monarchia fu estesa a causa dell’indegnità di Asa, re di Giuda. Geroboamo è descritto come un discepolo del profeta Ahijah e un grande studioso che ha meritato la regalità in virtù dei rimproveri che rivolse a Salomone sui vari eccessi legati al matrimonio egiziano di quest’ultimo. In effetti, il potenziale di Geroboamo era così grande che Dio gli offrì un grado speciale in paradiso se avesse abbandonato la sua idolatria. Successivamente alla sua intronizzazione, tuttavia, Geroboamo costruì due vitelli d’oro e ordinò al popolo di adorarli (i Re 12:28), diventando per i rabbini (Avot 5:18) l’archetipo del peccatore che conduce gli altri al peccato; Geroboamo è uno dei tre re a cui è negata la vita del mondo a venire (Sanh. 10: 2).

Altri re della monarchia israelita sono valutati in modo analogo per quanto riguarda le loro conquiste individuali: Omri è particolarmente indicato da R. Johanan per aver arricchito lo stato attraverso l’aggiunta della città di Samaria, che in seguito servì come capitale (Sanh. 102b). A suo figlio, Achab, viene negata la vita del mondo a venire; i rabbini descrivono sia la malvagità di Achab che la responsabilità di Jezebel nel condurre il suo marito più debole al peccato; alcuni affermano che alla fine si pentì dei suoi peccati. I successi militari di questo malvagio re sono attribuiti alla virtù del suo popolo, che si rifiutò di informare il profeta Elia quando dimorava in mezzo a loro. Proprio come i rabbini attribuiscono l’ascesa del Regno del Nord ai difetti spirituali della dinastia davidica, così discutono della sua caduta in termini di mancanze spirituali: quando gli Assiri rimossero i vitelli d’oro durante il regno di Osea, quel re incoraggiò il suo popolo per rinnovare i pellegrinaggi a Gerusalemme, ma inutilmente – la vittoria assira ha portato all’estinzione dello stato settentrionale (Seder Olam Rabbah, cap. 22).

Gli insegnamenti rabbinici sulla storia del Regno di Israele sono senza dubbio composti da intuizioni storiche fondate sulla loro filosofia della storia, e da esortazioni e analisi che riflettono le questioni e le realtà contemporanee.