ZERO? ma? i padme hu?

Oṃ maṇi padme hūṃ è il mantra del bodhisattva Avalokiteśvara. Nella recitazione, rotazione e scrittura, il mantra delle sei sillabe, come è comunemente noto, è profondamente radicato nella vita quotidiana in tutta la sfera culturale tibetana. È un'invocazione al bodhisattva sotto le spoglie di Maṇipadma (la e finale è un caso vocativo che termina al sostantivo femminile). Potrebbe quindi essere reso "Oh [tu che] hai un gioiello e un loto Hu". Questa interpretazione, sebbene familiare agli esegeti tibetani almeno dal IX secolo, ha ampiamente eluso gli occidentali, che hanno comunemente frainteso il suo significato come una variazione di "Ave al gioiello nel loto".

Mentre più Avalokiteśvara dhĀraṆĪ e mantra erano in circolazione dal III secolo d.C., il mantra di sei sillabe sembra essere apparso per la prima volta nel Kāraṇḍavyūha-sūtra. Questo testo, composto già nel V secolo dC, offre un'ampia descrizione del potere del mantra, primo fra tutti la rinascita nei regni puri contenuti nei pori dei capelli di Avalokiteśvara. Secondo la leggenda, una copia del file Kāraṇḍavyūha-sūtra- o in alternativa semplicemente le sei sillabe contenute in uno scrigno ingioiellato (kāraṇḍa significa scrigno) - caddero dal cielo sul tetto del semi-storico re tibetano del VI secolo Lha tho tho ri. Il sūtra fu tradotto qualche tempo prima dell'812, poiché è incluso nel catalogo Ldan dkar ma delle traduzioni del periodo imperiale pubblicato in quell'anno. Sebbene mantra comparabili associati ad Avalokiteśvara si trovino in diversi testi Dunhuang, l'uso del mantra a sei sillabe sembra aver guadagnato ampia popolarità solo nell'undicesimo secolo.

I tibetani tradizionalmente interpretano il mantra e le sue sei sillabe in termini di corrispondenze numeriche, come per i sei regni dell'esistenza. Si dice che le recitazioni orali del mantra, comunemente contate sui grani di preghiera, impediscano la rinascita nei sei regni e purifichino anche i peccati più gravi. La recitazione è spesso integrata dalla rotazione simultanea della famosa ruota della preghiera (mani 'khor lo, chos' khor lo, or lag 'khor). Questo è un dispositivo che consente al praticante di attivare l'efficacia del mantra facendo girare la ruota. Secondo la tradizione una singola rivoluzione produce una quantità di merito pari alla lettura di tutti i discorsi del Buddha; dieci rivoluzioni purificano una quantità di peccato pari a quella del Monte Meru, e così via. Il mantra è anche scritto, inciso e dipinto sulle rocce, la sua presenza fisica intesa per offrire protezione a chi è vicino.

I viaggiatori occidentali in Tibet sono stati affascinati dalla prevalenza del mantra sin dal XIII secolo, quando il missionario francescano Guglielmo di Rubruck osservò il canto continuo di su mani baccam, mentre lo registrava. Il mantra, e la sua onnipresente traduzione errata, Jewel in the Lotus, nel corso dei secoli si è fatto strada nel fascino occidentale per tutte le cose orientali, generando un numero illimitato di interpretazioni mistiche (comprese quelle sessuali) e filtrando in vari movimenti controculturali occidentali, spirituali e altrimenti.