U-NETANNEH TOKEF (Ebr. וּנְתַנֶּה תֹּקֶף; lett. “Dichiariamo la potente importanza [della santità del giorno]”), a piyyut (silluk) recitato prima del Kedushah dei Musaf di Rosh Ha-Shanah e il Giorno dell’Espiazione. La preghiera incarna il significato degli Alti Giorni Santi come “il giorno del giudizio” in cui tutte le creature passano, una ad una, davanti a Dio, come un gregge davanti al Pastore che decreta il loro destino. Sottolinea la situazione precaria e dolorosa dell’uomo e le sue aspirazioni futili. Dopo l’enumerazione dei molteplici destini che possono essere decretati per un uomo durante l’anno a venire, la preghiera, tuttavia, continua a sottolineare la convinzione che “il pentimento, la preghiera e la carità scongiurino il severo decreto”: Dio è pieno di perdono verso uomo che “è venuto dalla polvere e che tornerà alla polvere” e i cui giorni sono “come un’ombra fugace, come una nuvola passeggera … e come un sogno che svanisce”. Poiché questa preghiera, con parole semplici ma molto espressive, esprime l’idea di base del Giorno del Giudizio, è diventata una delle parti più solenni della liturgia dell’Alto Giorno Santo ed è recitata con timore reverenziale e in uno stato d’animo che stimola l’anima.
Scritto da Kalonymus b. Meshullam * Kalonymus, il paytan di Mayence (XI secolo), una nota leggenda ne attribuì la composizione a R. Amnon di Magonza (per i dettagli vedi * Amnon di Magonza). La preghiera divenne parte delle liturgie tradizionali ashkenazite, polacca e italiana.
bibliografia:
Davidson, Oẓar, 2 (1929), 199, n. 451; Landshuth, Ammudei, 45 sgg .; Idelsohn, Liturgia, 220; P. Birnbaum, Libro di preghiere di alta vacanza (1951), 359-64.