Paolo iv, papa

Pontificato: dal 23 maggio 1555 al 18 agosto 1559; b. Gian Pietro Carafa, Sant’Angelo a Scala (Avellino), Italia, 28 giugno 1476. La sua famiglia era dei conti Maddaloni, un ramo della nobile famiglia napoletana dei carafa (Caraffa). Gran parte della sua educazione la ottenne a Roma nella casa di suo zio, il brillante cardinale Oliviero Carafa. L’eccezionale qualità di questa istruzione è evidente dal fatto che Erasmo corrispondeva con lui da giovane, elogiando la sua conoscenza delle tre lingue accademiche e una volta invitandolo a tradurre in latino le Scritture Ebraiche e Greche. Il cardinale Jacopo sadoleto, il famoso umanista, lo ha conosciuto da compagno di studi a casa del cardinale Carafa e testimonia la sua santità e cultura. Durante questo periodo formativo ha servito irreprensibilmente nella corte corrotta di Alessandro VI come a cameriere pontificio.

I Teatini. Come vescovo, Carafa ha dato un esempio edificante per quei tempi vivendo e lavorando con zelo nella sua diocesi di Chiete in Abruzzo (c. 1506–13). A questa attività ha aggiunto una preziosa esperienza all’estero come inviato e osservatore pontificio. Era in Inghilterra come legato di Leone X ad Enrico VIII per aver collezionato i penny di Pietro (1513–14); poi visitò le Fiandre (1515-17) e la Spagna (1517-20). Nel 1524 Clemente VII gli concesse le dimissioni dal suo vescovado in modo che lui e Gaetano da Thiene di Vicenza potessero esaudire il loro desiderio di fondare una congregazione di chierici regolari dediti al ripristino dello stile di vita apostolico. Dall’ex diocesi di Chiete di Carafa (lat., Sai ) hanno acquisito il soprannome di “Teatini”. Nel 1527 il sacco di Roma da parte delle forze imperiali pose fine alla prima casa romana dei teatini. Fuggendo a Venezia, stabilirono un’altra casa, dove Carafa rimase fino a quando Paolo III lo chiamò a Roma per farlo cardinale, il 22 dicembre 1536. Nei suoi 19 anni da cardinale fu costantemente anti-spagnolo e anti-imperiale. Si è schierato con il gruppo riformista della Curia. Nel 1550 Giulio III lo nominò uno dei sei inquisitori del Sant’Uffizio.

Papa riformato. Alla morte di Marcello II (1555), il cardinale Alessandro Farnese volse tutta la sua influenza a favore di Carafa, allora decano del Sacro Collegio, e ottenne presto i voti necessari per il napoletano di 79 anni. Carafa scelse il nome Paul per rispetto del suo precedente benefattore Farnese, Paolo III.

Eletto riformatore, perse parte del suo slancio e prestigio iniziale dichiarando una guerra sconsiderata contro gli spagnoli, allora in possesso di gran parte dell’Italia. Non era affatto un Giulio II, per quanto desiderasse scacciare lo straniero dal sacro suolo. Inoltre, affidare la conduzione della guerra al nipote Carlo, intrigante e autoesaltante, fu un errore irrimediabile. La famiglia Carafa fu sconfitta dal Duca d’Alva, viceré di Napoli; la guerra finì con la generosa pace di Cave, il 12 settembre 1557. Dopo il 1557 l’anziano Papa si dedicò interamente alla riforma della Chiesa. Opponendosi ai metodi conciliari, non riprese il Concilio di Trento. Invece, si basò sull’istituzione di una commissione alla quale nominò cardinali buoni e dotti, principalmente uomini che aveva elevato. Ha combattuto una guerra senza compromessi contro la simonia e alla fine ha inferto un colpo decisivo al nepotismo esiliando i suoi nipoti. Ha anche insistito sul fatto che i vescovi risiedono nelle loro sedi e non trascorrono il loro tempo a Roma e altrove, e ha ordinato l’arresto dei monaci vagabondi a Roma.

Regno impopolare. Il suo zelo per l’Inquisizione era di dominio pubblico e il terrore che provocava gli valse una grande impopolarità. Anche durante la sua guerra con la Spagna ha partecipato alle sue sessioni. Il numero e il tipo di casi superavano di gran lunga quelli dei suoi predecessori. Uomini virtuosi, come il cardinale Giovanni Morone, furono chiamati davanti ad essa con accuse frivole. Inoltre, un nuovo e più rigoroso Indice Librorum Prohibitorum è stato emanato e applicato. Costrinse gli ebrei a portare un distintivo distintivo e nel 1555 fondò il ghetto a Roma.

Nonostante la sua vigilanza contro l’eresia, il protestantesimo fece progressi coraggiosi in tutto il nord Europa, spesso incoraggiato da considerazioni politiche. Inoltre, le politiche di Paolo nei confronti delle grandi potenze europee erano generalmente miopi e spesso arbitrarie e non adattate alle realtà politiche del XVI secolo.

Quando il papa morì, i romani si ribellarono, demolirono le sue statue e aprirono le prigioni dell’Inquisizione, dimostrando il loro sollievo che il suo governo severo e impopolare era finito. Sebbene il lato positivo del suo regno sia stato a lungo oscurato dal ricordo degli eccessi dell’Inquisizione, fu anche un’epoca di importanti riforme.

Una buona somiglianza del Pontefice, quasi l’unica esistente, è la statua sulla sua tomba, che Pio V fece costruire nel 1566 nella cappella Carafa di S. Maria sopra Minerva, Roma. Sebbene idealizzato, sembra aver catturato lo spirito degli aristocratici napoletani anziani, severi, focosi e irregolari.

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