Meshullam feivush heller di zbarazh

Meshullam feivush heller di zbarazh (1795 dc), autore galiziano ḥasidic, discendente di Yom Tov Lippmann Heller, discepolo di Jehiel Michel di Zloczow. Sebbene ci siano numerose leggende ḥasidiche su Heller, sono disponibili pochi dettagli biografici autentici. Nella sua giovinezza ha servito i primi maestri ḥasidici Menahem Mendel di Peremyshlany e Dov Ber, il Maggid di Mezhirech, a cui fa riferimento nei suoi scritti. Un condiscepolo di Jehiel Michel, Ḥayyim di Czernowitz, registra insegnamenti a suo nome. L’importanza di Heller nella storia del pensiero ḥasidico è dovuta al suo libretto Yosher Divrei Emet, pubblicato per la prima volta come parte dell’antologia degli insegnamenti ḥasidici dal titolo Likkutei Yekarim (1792, 1974; pubblicato separatamente nel 1905, da Samson Heller di Kolymyja, discendente di Heller). È possibile che Heller sia da identificare, infatti, con l’anonimo editore del Likkutei Yekarim. Yosher Divrei Emet ha la forma di due epistole a un amico, descrivendo in dettaglio la via ḥasidica insegnata dal Ba’al Shem Tov e dai suoi discepoli.

Dal punto di vista di Heller, la spinta principale dell’Ḥasidismo si concentra sulla necessità di un attaccamento completo a Dio (devekut) come fine della vita religiosa, a cui tutto il resto deve essere subordinato. Ciò implica lo “spogliarsi della corporeità” (hitpashtut hagashmiyyut), che significa non tanto vivere una vita ascetica, ma un completo distacco dalle delizie mondane, anche quando si è impegnati nelle cose del mondo. Mangiare, bere, guadagnarsi da vivere, l’atto coniugale, dovrebbero essere tutti impegnati, ma come un dovere, sotto costrizione, per così dire, con la mente non sul godimento fisico ma su Dio come fonte di tutto. Nell’illustrazione audace di Heller, l’uomo innamorato di una donna, quando vede il suo vestito, non ha alcun pensiero per l’abito in sé ma solo per il ricordo che fornisce della sua passione per la sua amata. A fortiori, quando un uomo studia la Torah e offre le sue preghiere, non dovrebbe esserci traccia di interesse personale. Quindi la Scrittura dice: “Di ‘alla sapienza:” Tu sei mia sorella “” (Prov. 7: 4). L’atteggiamento dell’uomo verso la Torah dovrebbe essere di puro amore disinteressato, come quello di fratello e sorella, non come quello di marito e moglie. La nuova interpretazione di Heller di Torah li-Shmah (“Torah per se stessa”) è: “Torah come suggerisce il nome”, cioè, Torah significa “ciò che si mostra”; lo scopo di tutto lo studio della Torah è che l’uomo si avvicini a Dio, che è mostrato attraverso la Torah. Di conseguenza, la distinzione tra nigleh (“le cose rivelate”) e nistar (“i segreti”) non devono essere intesi nel senso convenzionale come riferiti, rispettivamente, al Talmud, ai Codici e alla Kabbalah. Un “segreto” per Heller è quello che non può essere comunicato. È un’esperienza religiosa. Quindi chi studia la Kabbalah semplicemente come uno sforzo intellettuale ha a suo merito solo il nigleh aspetto dello studio, mentre chi studia il Talmud ei Codici come mezzo per sperimentare il Divino raggiunge lo stadio molto più alto di nistar. La distinzione tra nigleh e nistar non è tra due diversi tipi di argomenti ma tra diversi approcci allo studio dello stesso materiale. Heller è severamente critico nei confronti degli studiosi rabbinici del suo tempo, che accusa di essere immersi in desideri e ambizioni mondane. Immaginano affettuosamente che lo studio della Torah costituisca di per sé l’amore di Dio e non riescono ad apprezzare che senza perdita dell’individualità e completo distacco dal mondo non può esserci amore per Dio, il vero scopo dello studio della Torah.

D’altra parte, il ḥasidic ẓaddik può, per Heller, non sbagliare. Il maestro ḥasidico, Ẓevi Elimelech di Dynow (Gioco De-Pirka, N. 15) riferisce che i discepoli di Heller gli dissero del loro maestro dicendo che uno che scruta troppo da vicino le azioni di un ẓaddik è come chi guarda troppo da vicino il sole, e subirà la stessa sorte in quanto i suoi occhi si offusceranno.

Con Heller inizia il rifiuto della dottrina ḥasidica primitiva dell’elevazione dei pensieri estranei, cioè l’idea che quando un pensiero ribelle o peccaminoso entra nella mente durante la preghiera, non dovrebbe essere respinto ma elevato alla sua sorgente in Dio. Heller ritiene che questa sia una dottrina pericolosa, ma non può negarla completamente, poiché è stata insegnata dai primi maestri; di conseguenza adotta la razionalizzazione che la pratica non è mai stata intesa per la gente comune, ma solo per il più grande dei santi. Con una simile razionalizzazione, Heller sollecita l’abbandono del lurianico kavvanot nella preghiera, tranne in rari casi. Luria pensava a se stesso e ai suoi grandi contemporanei; per l’uomo moderno, il kavvanot frustrerebbe l’obiettivo di devekut.

bibliografia:

M. Bodek, Seder ha-Dorot, Cap. 3, 56; A. Walden, Shem ha-Gedolim he-Ḥadash (1879), 114; SA Horodezky, Ha-Ḥasidut ve-ha-Ḥasidim (1951), II, 123–45; S. Dubnow, Toledot ha-Ḥasidut (1967), n. 45, 323-4; JG Weiss, in: jjs, ix (1958), 163–92.

[Louis Jacobs]