Al tempo del Buddha, intorno al quinto o sesto secolo aC, esisteva già la nozione brahmanica di una persona deceduta che trascorreva un anno come uno spirito fastidioso e disincarnato, o preta, scatenando il caos domestico per costringere i parenti ancora in vita a compiere la śrāddha riti che fornirebbero al defunto un nuovo corpo adatto per unirsi agli antenati, come a fossaṛ, in paradiso.
Nelle prime scritture buddiste, la figura del peta (un Pali equivalente di entrambi i sanscriti nero e pitṛ) viene mantenuto, ma viene trasformato da uno stadio intermedio disincarnato in una nuova rinascita a sé stante, sebbene in cui il peta dipende ancora dall’assistenza sacrificale dei parenti in vita.
Nel Petavatthu (Storie della mappa), il testo canonico che tratta esclusivamente del carta geografica, alcuni petas si dice che sopportino un’esistenza di sofferenza totale e continua, in cui si sostengono, se non del tutto, sulle impurità. Mostrano un aspetto miserabile e si trovano spesso a dimorare in luoghi come la latrina di un ex monastero, agli stipiti e agli incroci, nei fossati, nelle foreste o nei cimiteri dove si nutrono della carne dei cadaveri.
Nella tradizione MahĀyĀna, il preta è spesso raffigurato come un “fantasma affamato”, una creatura con un enorme ventre, ma con una bocca a forma di ago attraverso la quale è impossibile passare nutrimento sufficiente per placare gli enormi morsi della fame.
Nessuna descrizione di questo tipo si trova nel file Petavatthu, secondo cui ci sono, oltre a quelli petas già accennato, altro petas che si dice assomigliano devata (abitanti dei vari mondi celesti) di grande potere psichico, salvo qualche deficienza che impedisce loro di godere appieno dei benefici normalmente associati al loro mondo. I più notevoli di questi sono i file vimānapetas (petas possedere dimore celesti), che sembrano essere poco diversi dagli altri vimana-di proprietà devata, tranne per il fatto che la loro beatitudine celeste viene interrotta a intervalli regolari dal fatto che vengono divorati da un enorme cane, o dal fatto che devono consumare la carne che hanno già, come “morsi della schiena”, strappati dalla propria schiena.
Anche se spesso sembrano dimorare nello spazio con gli umani, petas appartengono a un piano o dimensione differente. Questa dimensione emerge chiaramente come il mondo celeste associato ai Quattro Grandi Re, che sorvegliano quel mondo, che si estende dalla superficie terrestre alla vetta del Monte Meru, con le loro truppe di yakṢas, nāgas, gandharvas, e kumbhaṇḍas. Ogni sorta di altre creature non umane, come piṣācas, bhūta, e asura che provocano eclissi, sono assegnati a quel mondo, così come le divinità minori, come la famiglia devata, albero devata, spiriti guardiani dei laghi e così via. Man mano che il buddismo si diffuse ulteriormente in Asia, anche le varie divinità locali e simili incontrate dal buddismo furono assegnate a questo mondo.
Nonostante il fatto che la rinascita come deva e la rinascita come un peta sono considerati tipi discreti di rinascita, i devatā e la peta sembrano rappresentare due estremi di un intero spettro di esseri non umani che dimorano nel mondo celeste associati ai Quattro Grandi Re. Si differenziano unicamente per il grado in cui ciascuno è in grado di godere dei piaceri di quel mondo.
Gli individui diventano petas soprattutto a causa del loro fallimento in una vita precedente nel mostrare carità ai membri illuminati del saṄgha, o al demerito derivante da alcune azioni malvagie commesse in precedenza. Per comprendere il primo, è necessario richiamare la precedente pratica vedica di versare un’oblazione nel fuoco sacrificale per creare una sfera di benessere personale che abbraccia non solo questa vita ma anche la vita a venire. Nel periodo buddista, il saṅgha svolge una funzione simile al fuoco sacrificale, in quanto, donando l’elemosina al saṅgha, si mette in essere una controparte di quelle elemosine sul piano divino per il proprio uso dopo la morte. Se si trascura di fare l’elemosina, non si trova naturalmente, nella vita a venire, alcuna fonte di sostentamento.
Tale privazione post-mortem del buddista peta riecheggia l’incapacità del preta brahmanico di unirsi al pitṛs per mancanza di un corpo adatto. E proprio come la difficile situazione di quest’ultimo potrebbe essere rettificata dai parenti che eseguono i riti śrāddha, così potrebbero peta avere la sua privazione migliorata grazie agli amici e ai parenti ancora in vita che offrono un dono al saṅgha sul petaper conto di e poi assegnando il frutto di quella donazione a beneficio del peta ha riguardato. Qualunque sia la privazione del peta era stato sperimentato viene immediatamente rettificato e il peta è, d’ora in poi, in grado di godere dei piaceri e delle comodità associati al mondo celeste. Questa pratica, erroneamente chiamata “trasferimento di merito”, non comporta alcun trasferimento di merito; piuttosto, il peta viene semplicemente assegnata alla divina controparte dell’elemosina offerta al saṅgha sul petaper conto di.
C’è, tuttavia, una condizione: se la ragione dell’esistenza come a peta è dovuto o complicato da un precedente demerito, l’assistenza non può aver luogo finché tale demerito non è stato esaurito. Inoltre, si dice che parte di tale petaLa situazione difficile è che i parenti viventi dimenticano che lui o lei sia mai esistito, e quindi non riescono a offrire l’elemosina petaper conto di. Per questo motivo, i moderni buddisti singalesi, quando concedono l’elemosina, lo fanno in nome di eventuali parenti precedenti che potrebbero aver trascurato.
Anche se a volte i maghi neri comandano petas contro la loro volontà di eseguire gli ordini del mago, più spesso si avvalgono dell’assistenza più disponibile di altri esseri non umani, come yakṣas malevoli e bhūtas, per raggiungere i loro fini, proprio come alcuni di questi ultimi sono stati, occasionalmente, trasformati da potenti monaci in protettori del Dharma.
Sebbene l’ordinazione dei non umani non sia consentita dal Vinaya, è comunque praticata (ad esempio nella moderna Thailandia), ed è incoraggiata da alcune scritture Mahāyāna, come il Fanwang jing (Net SŪtra di BrahmĀ). In Asia orientale (soprattutto in Giappone), l’ordinazione libera gli esseri non umani nero stato.
Un festival buddista noto come Ullambana si tiene ancora ogni anno nell’Asia orientale e sud-orientale. Il festival ha lo scopo di alleviare le sofferenze dei “fantasmi affamati”.