Longanimità, una virtù morale che perfeziona l’appetito irascibile in modo che si possa continuare ad agire bene per un lungo periodo di tempo nonostante le difficoltà derivanti da ostacoli esterni. È anche chiamato costanza. La longanimità è molto simile alla virtù della perseveranza; si differenzia, tuttavia, per le difficoltà che devono essere sostenute. La perseveranza rafforza l’appetito contro la difficoltà che esiste semplicemente perché una linea d’azione deve essere continuata per un periodo prolungato; la costanza si occupa di resistere alle difficoltà che possono derivare da cause esterne quando l’azione virtuosa si prolunga per un periodo di tempo.
San Pietro attribuisce a Dio la longanimità: “Il Signore non tarda le sue promesse, ma per voi è longanimità, non desiderando che alcuno muoia, ma che tutti si volgano al pentimento” (2 Pt 3.9). La virtù umana imita il suo modello divino attraverso la disponibilità a sopportare le sofferenze imposte da impedimenti esterni alla vita cristiana come il cattivo esempio e l’assalto di speciali tentazioni dal mondo. I vizi dell’incostanza e della pertinacia si oppongono alla virtù della pazienza. L’incostanza è il vizio di coloro che non sono disposti a sopportare la noia di un’azione prolungata di fronte agli ostacoli. Sono “morbidi” e abbandonano facilmente la ricerca della virtù di fronte alle difficoltà esteriori, come le battute degli altri. La pertinenza è il vizio di coloro che rifiutano di desistere da qualche linea di condotta anche dopo che la persistenza è diventata irragionevole. La pertinenza si trova di solito nelle persone ostinate e testarde che, per vanità, rifiutano di abbandonare una posizione una volta che l’hanno assunta.
Bibliografia: Tommaso d’Aquino, Summa Theologica 2a2ae.137.3. per. royo, La teologia della perfezione cristiana, tr. e ed. j. aumann (Dubuque 1962).
[r. doherty]