Il sanscrito del IV secolo d.C. Divyavadana (Exploits celeste) contiene trentotto racconti biografici che celebrano la vita di figure paradigmatiche nella storia buddista, autenticano le tradizioni locali del dharma e drammatizzano l’importanza della disciplina morale, del karma (azione), del dĀna (dare) e del potere della fede e della devozione. Molte delle narrazioni dimostrano anche il ruolo centrale della narrazione, una dimensione della tradizione buddista che solo di recente ha attratto l’attenta attenzione degli studiosi a lungo accordata alla dottrina, alla storia e alla filosofia.
Questi racconti derivano in gran parte dal MŪlasar-vĀstivĀda Vinaya (ventuno racconti) e dai vinaya di altre scuole monastiche buddiste (nove racconti), ma adattano anche i sutra canonici (capitoli 3, 17,34). Due capitoli (36, 38) riproducono il lavoro dei poeti sanscriti classici.
Tra gli altri soggetti, il Divyavadana ritrae le avventure di ricchi mercanti che diventano monaci buddisti (capitoli 1, 2, 8, 35), racconta la vita familiare e religiosa dei re indiani (capitoli 3, 26-29, 37) e descrive le origini della “Ruota di La vita “, ben nota in Occidente dai dipinti tibetani (capitolo 21). I lettori trovano anche la conversione di MĀra, il buddista “Satana” (capitolo 26), e la storia d’amore di Sudhana e Manoharā (capitoli 30, 31), e imparano entrambi cosa succede quando un uomo offre sua figlia al Buddha (capitolo 36 ) e quando una donna outcaste si innamora di un eminente monaco (capitolo 33). Il Divyavadana include anche storie di donne che hanno studiato le scritture buddiste nelle proprie case e di altre che, per amore o gelosia, hanno lanciato incantesimi, accecato i propri figli o commesso omicidi di massa.
Nel Divyavadan, come in altri avadanas, gli studiosi trovano un incontro di temi scritturali, letterari, dottrinali e sociali che hanno informato il buddismo indiano, in breve, una finestra indispensabile sull’antica tradizione.