Ephetha

Una parola aramaica pronunciata da Gesù nella cura dei sordomuti di Decapoli (Mc 7.31–37). Il testo greco del Vangelo dà ἐφφαθά (7.34), una traslitterazione dell’aramaico ‘ETP etah o ‘etpattah o dell’ebraico hippātaḥ (dalla radice semitica ptḥ, per aprire), che Mark traduce come διανοίχθητι, “sii aperto”. La parola è accompagnata da gesti sacramentali: Gesù tocca la lingua dell’uomo con la saliva e gli mette le dita nelle orecchie. Le azioni di Gesù e la Sua parola di comando sono come un Sacramento, simboleggiando gli effetti che devono essere prodotti dal potere divino usando l’umanità sacra come strumento. Non sorprende quindi trovare la cerimonia dell’Efeta (come veniva chiamata fin dai tempi antichi) tra i riti prescritti dalla chiesa nell’amministrazione del battesimo dei bambini: con alcune varianti, il sacerdote ministero ripete le azioni di Cristo e pronuncia il solenne Efeta.

Bibliografia: Dizionario enciclopedico della Bibbia, tr. e adattare. di l. hartman (New York 1963) 674. i. rabinowitz, “‘Sii aperto’ = ‘Eφφαθά (Marco 7.34): Gesù parlava ebraico?” Journal of New Testament Science e Ancient Church Lore 53 (1962) 229-238. f. prat, Gesù Cristo: la sua vita, i suoi insegnamenti e la sua opera, tr. jj heenan, 2 v. (Milwaukee 1950) 1: 399–400. v. taylor, ed., Il Vangelo secondo San Marco (Londra 1952) 355.

[a. the houllier]